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Le numerose influenze di Johann Sebastian Punk

Secondo disco per l’italiano (sì, perché di un italiano si tratta, nonostante il nome possa depistare) Johann Sebastian Punk dopo la pubblicazione di More Lovely and More Temperate, che nel 2014 gli era valso una candidatura nella cinquina finale del Premio Tenco per la Miglior Opera Prima. Non poco per un artista che continua a fare della musica in lingua inglese il suo principale mezzo di espressione senza scendere nei compromessi del pop mainstream che siamo abituati a sentire.

L’album si apre con Mankind Blues e già il titolo dice tanto su quello che andremo a sentire: una partenza distesa che poi sfocia in una cavalcata blues, come c’era da aspettarsi. Confession inizia come un pezzo quasi cantautorale, ma non manca di venature elettroniche e voci sognanti che lo alleggeriscono nel finale. Il brano alla fine risulta essere più riuscito e decisamente più vicino ai miei gusti rispetto al suo predecessore. Tragedy risente della scuola Franz Ferdinand e si avvicina dunque alla neo-dance del 2000 e non manca di strizzare l’occhio ai Muse, soprattutto nel finale.

Dopo il breve intermezzo In Search of the Miraculous, Samba da Segunda-Feira è una samba, per l’appunto, rivisitata in chiave moderna. Rite of Passage è un altro intermezzo di un minuto che conduce l’ascoltatore ai synth di The Quintessential, pezzo in cui la psichedelia incontra il prog, un elemento costantemente presente in questo lavoro, soprattutto nella successiva Insanity Fair, dove Punk mette in risalto tutti i numerosi musicisti che hanno collaborato alla scrittura del disco (flauto traverso, violino, tromba e chi più ne ha più ne metta). Il pezzo di chiusura Manifest Destiny presenta venature rock ed è impreziosito dalla poliedricità di un arrangiamento assolutamente non banale, che per certi versi ricorda alcune delle atmosfere alle quali gruppi come gli Smashing Pumpkins ci hanno abituati.

La sintesi è che quest’album manca di sintesi, nel senso che le idee e le influenze sono ben presenti, ma piuttosto disparate. Si passa dal rock, alla samba, al prog, al pop da stadio in una manciata di canzoni, quindi è un disco sicuramente non facile da catalogare, ma forse è questo che rende interessante l’ultima fatica del signor Sebastian Punk.

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