Se stai leggendo questo, il modo in cui gli Sleep Token hanno irrotto nel mainstream non ti è certo un mistero. L’uscita di The Summoning e la successiva uscita del terzo album della band, Take Me Back To Eden, nel lontano 2023 hanno visto il gruppo passare dall’esibirsi nei club a diventare una delle band di supporto agli headliner più ambita nelle arene internazionali, apparentemente dall’oggi al domani. È stato davvero impressionante, ma ciò che forse lo è di più è quanto bene siano riusciti non solo a mantenere, ma anche a continuare a far crescere la loro fanbase ormai planetaria nei due anni successivi. E oggi, 9 maggio 2025, con l’uscita di Even in Arcadia non si sono risparmiati.
Occorre essere onesti: gli Sleep Token sono probabilmente la più grande band metal del pianeta in questo momento. Che sia un fatto che vorreste ammettere o meno è piuttosto irrilevante, poiché è abbastanza innegabile. A parte i «oh ma non sono nemmeno metal», classica frase che i «metal elitists» rivolgono ad una band quando quest’ultima acquisisce un minimo di notorietà, l’ascesa dei metallari mascherati nel vasto mainstream rock è qualcosa di davvero notevole per una band con il loro background e la loro composizione sonora generale considerando che le band tecniche non hanno solitamente successo in questo modo; come minimo, ci vorrebbero un paio d’anni di gavetta in più tra pub e club prima di iniziare a raggiungere anche solo il 10% del successo che hanno ottenuto gli Sleep Token. Era solo questione di tempo prima che trovassero la loro grande occasione per riuscire a raggiungere l’Olimpo del metal.
Questa è forse l’affermazione più ovvia che si potrebbe fare di un album degli Sleep Token, ma Even In Arcadia non si colloca certamente in un’unica corsia; chi è preoccupato che la band abbandoni del tutto i riff di chitarra pesanti e faccia infine il salto completamente nel pop mainstream non deve preoccuparsi. Tuttavia, l’approccio sembra in qualche modo diverso dai lavori precedenti; nei loro precedenti album il contrasto tra i testi e le loro basi magari è stato più netto. Pensate meno ad Aqua Regia e più al fatto che molte delle canzoni presenti in Even In Arcadia contengono il loro flusso e riflusso tentacolare al loro interno, che affronta molti dei lati contrastanti della band, ma forse in un modo leggermente più inquadrato rispetto a prima.
I tre singoli principali, Emergence, Caramel e Damocles ci hanno dato un’infarinata di ciò che la band ha avuto bisogno di raccontarci;
Emergence racconta il processo di diventare visibile dopo essere rimasto nascosto, trascendendo nascita, rinascita, fisica e spirito.
Caramel esplora i conflitti interiori di Vessel e l’incombente minaccia che la sua identità venga svelata, nonostante il suo unico desiderio di creare musica rimanendo anonimo. Il significato è spiegato bene nella canzone stessa: il prezzo della fama, soprattutto quando arriva così all’improvviso, è un’arma a doppio taglio (la band, infatti, di recente è stata vittima di doxing). Vessel riconosce la popolarità e, anziché detestarla, la apprezza desiderando che gli resti attaccata addosso come caramello (stick to me like caramel). Altre interpretazioni vedono come «caramello» la fanbase quella rispettosa e consapevole che ha espresso e sta tutt’ora esprimento un enorme affetto nei confronti della band britannica.
Damocles, invece, è l’esegesi di Caramel; la storia della spada di Damocle è un’antica leggenda greca che racconta di un nobile seduto sul suo trono con una spada sempre sopra di lui, legata solo da un filo, a rappresentare la metafora della paura sempre in agguato in una posizione nobile, quando tutto può andare storto in un istante.
Look To Windward sembra un’ouverture di tutto ciò che gli Sleep Token rappresentano. La loro capacità di intrecciarsi senza sforzo tra un genere e l’altro per otto minuti per stabilire che, mentre stiamo certamente affrontando un po’ di più il mainstream qui, lo spirito selvaggio al centro del suono degli Sleep Token rimane presente ed assolutamente intatto. Look to Windward esplora il disfacimento dell’identità e il lento collasso del sé sotto la pressione emotiva ed esistenziale. Attinge a immagini di frammentazione e trasformazione, evocando una persona intrappolata tra ciò che era e ciò che sta diventando, o ciò che sta perdendo completamente. Il brano esplora il conflitto interiore come una lotta prolungata piuttosto che come un singolo momento di crisi. C’è una tensione tra distruzione e rinascita, con echi di linguaggio scientifico e spirituale che suggeriscono un’anima lacerata da forze al di fuori del suo controllo. Riferimenti alle divinità, alla violenza e alla memoria confondono i confini tra mito ed esperienza personale, ritraendo un Vessel che è allo stesso tempo tormentato e svuotato dal peso di ciò che ha sopportato. Durante tutto il brano, Vessel esplora stati contrastanti: luce contro ombra, suono contro silenzio, divinità contro dannazione. Abbondano i riferimenti biblici e mitologici, che dipingono l’interlocutore come sacro e profano al tempo stesso: “the demon of Sodom,” “the god of the gaps” e “the blood of an angel”. Queste contraddizioni illustrano l’instabile fondamento della sua identità, che ora sembra irriconoscibile. Sul piano sonoro, il brano alterna ripetizioni inquietanti e una strumentale esplosiva, rispecchiando il flusso e il riflusso del tumulto interiore. Nel ritornello finale «will you halt this eclipse in me?» (fermerai questa eclissi in me?) da domanda interiore, diventa un’eco che si affievolisce – una voce inghiottita dall’oscurità.
I riferimenti biblici si ripresentano anche in Gethsemane, letteralmente l’orto degli ulivi dove, dopo l’Ultima Cena, Gesù Cristo si rifugiò dopo che Giuda lo ha tradito. In Gethsemane, inoltre, Vessel offre un’esplorazione cruda e introspettiva della complessità dell’amore, del dolore emotivo e della scoperta di sé. Riconoscendo di aver imparato a vivere senza la relazione, nonostante il vuoto persistente, spiega di provare un senso di sollievo nel non essere più circondato dalla turbolenza che un tempo caratterizzava il legame.
Past Self parla del concetto di cambiare se stessi e di come il processo per farlo sia snervante, caotico e difficile. Potremmo resistere al cambiamento, ma sappiamo anche che le cose non possono rimanere le stesse per sempre.
Dangerous cattura la forza destabilizzante del desiderio proibito. Dopo Sugar e Blood Sport, entrambe contenute in Sundowning, Vessel riconosce il pattern tossico e assume un certo distacco emotivo intellettualizzando la negatività del rapporto; versi come «it’s like you’re dangerous to me, I notice every time we meet» racchiudono un senso di perdita di controllo, sia emotivo che spirituale. Il ritornello si gonfia di tensione, raffigurando un’infatuazione tossica che travolge la ragione. L’interpretazione di Vessel amplifica la gravità di queste parole, non come una dichiarazione, ma come una confessione che si svela in tempo reale.
Even in Arcadia, la title tack, è intrisa di immagini archetipiche e spirituali. Nella strofa iniziale, il narratore parla del «giorno del giudizio» e di dei che non sono morti, ma che stanno «sharpening their blades» (affilando le loro lame), evocando un senso apocalittico di resa dei conti e rinnovamento. La domanda ricorrente nel ritornello, «have you been waiting long for me?» (mi stavi aspettando da tanto?), è al tempo stesso intima ed esistenziale, come una voce che echeggia attraverso il tempo e le dimensioni, alla ricerca di una connessione in un luogo che potrebbe essere reale o meno.
Provider dal punto di vista lirico esplora l’ossessione, l’intimità e i confini sfumati tra dipendenza fisica ed emotiva. Le immagini di versi come «your outer shell, your secret insider» e «your fingers, foxtrot on my skin» sono vivide, sensuali e non hanno paura di abbandonarsi a iperboli poetiche. C’è una vena di pericolo sotterranea, accennata da versi sull’esitazione e metafore emotive che richiamano la terapia intensiva, che raccontano una relazione tanto inebriante quanto instabile.
La conclusione dell’album è dettata da Infinite Baths, la quale fa riferimento al primo brano dello stesso album, con la ripetizione del verso «Will you halt this eclipse in me?». La base richiama a livello sonoro, ad un certo punto, Vore e parla di una speranza ostinata; dopo aver parlato delle difficoltà della fama, dei sentimenti di disperazione e dei temi della disperazione che attraversano l’album, Vessel dichiara “I am never going back”, and “even if I’m on my own… I’m finally here / and I’m not leaving this time.” Concludendo con il verso «I will be / what I am», questa canzone suggerisce che, nonostante i molteplici esempi di dolore presenti sia nell’album che nella canzone stessa, pur essendo “so tired inside / I could sleep through a landslide”, l’autore ha trovato una sorta di pace nella propria follia e gioia.
Consume and worship.