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Intervista al producer e tastierista Marcello Grilli

Marcello Grilli

Foto di Cristina Troisi
Intervista di Alessia Antonelli

Il 22 maggio scorso dopo il concerto di Mahmood al Locomotiv Club di Bologna, abbiamo fatto due chiacchiere con Marcello Grilli, tastierista e produttore del cantante. Abbiamo parlato della scelta di organizzare il primo tour in giro per i locali invece che nei palazzetti è stata più che azzeccata e del grandissimo successo che sta riscontrando, tra la vittoria di Sanremo, il secondo posto all’Eurovision Song Contest e i brani tuttora tra i primi posti delle classifiche.

Partiamo dalle basi: tu e Francesco Fugazza avete prodotto alcuni brani. Tra questi qual’è il tuo preferito?

Del disco o del live? Forse mi sento più legato ad Uramaki. L’abbiamo scritta in un momento particolare e ci ha dato tanto ed è sempre emozionante suonarla. Il pezzo preferito live però penso sia Africa, è un inedito che non potete trovare in giro e lo usiamo come intro. Mi gasa sempre “l’effetto a sorpresa” che ha sul pubblico e penso non ci possa essere un intro più d’impatto.

E invece qual è stato il più difficile da produrre? Se c’è stato qualcosa da migliorare, ecc.

Beh Uramaki è il pezzo che ha avuto la gestazione più lunga, all’inizio aveva delle parti in più che poi abbiamo tolto. Io e Ale [Mahmood] abbiamo cambiato il ritornello almeno tre volte prima di arrivare a quello definitivo… ti dico solo che in una versione diceva “gelato con gli Smarties” nel ritornello, e per un attimo abbiamo pensato di usarlo proprio come titolo [ride]. A pezzo finito, Universal ci ha offerto la possibilità di arricchire il nostro beat in studio da Big Fish, con cui abbiamo l’onore di collaborare per dare il tocco finale al pezzo.

Tu e Mahmood vi siete conosciuti grazie alla musica o eravate già amici?

No no, eravamo già amici da quando avevamo vent’anni; abbiamo fatto la stessa scuola di musica e diciamo che facciamo parte della stessa compagnia di amici.

E questa cosa quanto ha inciso sulle vostre capacità, sui vostri gusti?

La scuola dici? Mi ha dato sicuramente le basi e gli input giusti per capire che nella vita volevo fare il produttore. Poi soprattutto è il posto dove ho conosciuto e ho iniziato a collaborare con Ale, Fra ed Elia. All’epoca producevo nella mia cameretta a casa dei miei, mentre lui [Mahmood] lavorava nel bar di suo cugino che apriva prestissimo la mattina. A mezzogiorno appena finiva prendeva il treno perché abitavo in Brianza, fuori Milano, e spesso si addormentava sulla sedia, mentre io davanti al computer smanettavo sui pezzi. Poi abbiamo conosciuto Fra e insieme abbiamo lavorato su Dimentica, pezzo con cui Ale ha deciso di partecipare ad Area Sanremo vincendo poi la partecipazione tra le nuove proposte a Sanremo Giovani nel 2016.

Prodotta da voi? Beh, un ottimo biglietto da visita!

Sì, poi comunque è valso un po’ per tutti noi l’ingresso in Universal… il mondo vero, diciamo.


Possiamo dire che il progetto di Alessandro è cominciato ufficialmente a novembre 2016. Suonate insieme da allora o anche da prima?

Io ed Elia [batterista], avevamo cominciato a suonare con lui già prima, mentre lavoravamo ai primi pezzi. Come tanti altri volevamo portare questi pezzi nei localini di Milano per provare a farli conoscere e a guadagnare qualche soldino. Poi quando ho cominciato a produrre con Fra, si è naturalmente aggiunto al gruppo e dopo il primo Sanremo giovani nel 2016 abbiamo fatto qualche live con la formazione di adesso.

Quanto è complicato confrontarsi con una major come Universal?

All’inizio è sicuramente stato difficile confrontarmi con una major. Io ero uno di quei ragazzi che ascoltano principalmente musica straniera e pochissima musica italiana che passa in radio. La mia inesperienza e ingenuità mi facevano credere che per fare una canzone di successo bastasse essere audaci e fare qualcosa di completamente diverso, qualcosa che non senti in radio. Ovviamente non è così, se certe cose non le senti mai su una grande radio è perchè non funzionano per il grande pubblico. In realtà avevo capito subito che la sfida per me sarebbe stata imparare a capire cosa funziona, cosa poteva capire chiunque, non solo chi aveva i miei stessi ascolti… Non che adesso l’abbia imparato [ride], per anni i nostri pezzi sono stati respinti, ma è stato il periodo in cui ho effettivamente imparato a fare il mio lavoro e in cui Alessandro ha imparato a scrivere.

Infatti, non so se li conosci, i Fast Animals and Slow Kids; abbiamo ascoltato il loro ultimo album e ricordo che Aimone parlava del fatto di sentirsi giovani e fare qualcosa di diverso, di ricercato e poi invece adesso che è arrivato a 30 anni si è accorto che in realtà è difficile comunicare con tutti attraverso la propria musica.

Eccome se è difficile! Penso sia la cosa più difficile di tutte. Spesso si pensa che una canzone “facile” sia anche facile da scrivere. Ho sentito tanti musicisti dire “se solo volessi scriverei una hit in dieci minuti” e forse lo pensavo anch’io… provateci!

Invece quanto pensi abbia avvantaggiato essere nell’era di Spotify, quindi della musica in streaming, in qualsiasi luogo e ora?

Bella domanda! Mi piacerebbe fare un paragone, ma facendo musica in quest’era non ci riuscirei. Sicuramente è un mondo diverso con altre regole, forse più diretto e democratico, ma credo che ancora oggi la radio e la televisione siano i canali più grossi per arrivare al grande pubblico, vedi Mahmood. Però penso che internet e lo streaming possano aiutarti ad arrivare a questi “vecchi” canali, vedi la trap per esempio, esplosa su YouTube e oggi in radio.

Avete prodotto Anni 90… Quindi avete collaborato anche con Fabri Fibra? Lo avete conosciuto?

Non direttamente. Anni 90 è il pezzo più vecchio del disco, tra l’altro, prodotto in quel famoso periodo in cui ci rimbalzavano i pezzi. L’ispirazione ce l’ha data la grande Paola Zukar, manager di molti rapper italiani tra cui Fibra, che dopo aver sentito la voce di Alessandro a Sanremo 2016 gli ha detto “hai una voce davvero internazionale, ti va se ti mando dei beat e ci scrivi qualcosa?”. Lui ovviamente su quei beat ha fatto scintille e per esempio è lì che è nata Luna, la sua prima collaborazione con Fibra. Uno di questi beat ha ispirato Anni 90 che reputo un pezzo importante per il mio percorso, perchè è un pezzo in cui ha creduto anche Universal e sento che mi ha messo sotto una luce diversa. A pezzo finito Ale ha mandato il pezzo a Fibra che ha risposto “che bomba, ma chi l’ha prodotta? Mi piacerebbe mettere due barre nello special”, non potevamo essere più esaltati.

 

Hai detto niente, avete collaborato con una colonna! Voi diciamo che siete giovani, per gli obiettivi che avete raggiunto, quelli che state raggiungendo e quelli che auspichiamo raggiungerete e noi, personalmente prima di questo live, pensavamo che Universal assegnasse a Mahmood, vincitore di Sanremo, secondo posto all’Eurovision, dei musicisti storici ultra cinquantenni per fargli da contorno e invece ci siete voi che avete una personalità gigante sul palco e tutti sapete dare il massimo per sembrare un gruppo molto unito. Vi sentite parte di questo gruppo o “persone che semplicemente stanno dietro a Mahmood?”

Beh sicuramente Ale è l’artista, è lui che ci mette la faccia ed è lui che si racconta nelle sue canzoni e nei suoi live. Sul palco poi penso si capisca che siamo amici e che ci sia quel gioco di squadra e l’affiatamento di una vera e propria band. Per il resto, finito il tour estivo, l’idea è quella di prenderci una pausa per scrivere cose nuove con Ale ed altri.

Nuovo disco eh? Pressione da “dobbiamo fare uscire un altro disco” o easy? E, in più, altri progetti in cantiere?

No, siamo tranquilli, ogni cosa necessita i suoi tempi e la penna di Ale ha ancora molto da dire. Poi io e Fra seguiamo altri progetti, insieme e non, anche cose estremamente diverse tra loro, ma la cosa bella è che possiamo dire di aver imparato il mestiere insieme e una volta che inizi a scrivere non ti fermi più, non hai bisogno dell’illuminazione, trovi l’ispirazione in qualsiasi cosa.

 

Per scrivere hai qualche guida “spirituale”?

Io mi occupo soprattutto della parte musicale, cioè gli accordi, la melodia, il beat. Per semplificare diciamo che costruisco la base. Capita che magari Ale venga da me con un testo figo e da lì pensiamo a che sound vogliamo dargli, che andamento dare al beat, che mood vogliamo ecc. Ci diamo una direzione prendendo brani come reference, si può cominciare da qualsiasi parte, poi aggiungi gli altri pezzi come i lego. Milano Good Vibes, ad esempio, è nata praticamente in un pomeriggio, ma veloce non necessariamente significa che sia scarso, basta entrare nel flusso ed è fatta. Ma non c’è una regola. Un altro esempio è Uramaki che come ti dicevo prima, non ci convinceva alla prima stesura, quindi abbiamo cercato altri accordi per aprire meglio il ritornello e renderlo più incisivo, abbiamo snellito la struttura per rendere la canzone meno pesante, ponderato meglio le parole togliendo per esempio la parte degli Smarties, che all’inizio ci piaceva un sacco perchè ci faceva indie, ma poi abbiamo pensato che fosse un po’ “too much”[ride].

 

A proposito di indie: ok Sanremo, ok Eurovision, siete al Locomotiv, un tempio sacro dell’indie; quanto vi sentite ancora indie?

Sembrerò banale, ma per me l’importante è portare in giro la mia musica a prescindere da tutto, indie o non indie, non ho necessariamente bisogno di darle un genere. Penso che ogni tipo di palco e ogni situazione ti dia qualcosa di diverso. Per esempio un club come il Locomotiv non ha transenne e quando suono vedo in faccia le persone mentre cantano a squarciagola, che mi trasmettono un’energia difficile da descrivere. A volte mi fanno venire troppo da ridere, soprattutto quando sbagliano le parole. Però a parte gli scherzi è bellissimo quando sei fuori dal locale e in molti ti fermano per salutarti e farti i complimenti, vedi coi tuoi occhi che hanno passato una bella serata anche grazie a te. Spero di continuare a provare questa cosa ogni volta che suono.