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⏭ Il Suicidio di Lavagna visto con gli occhi di chi ha vent’anni

Quando ci si perde nei soliti discorsi e non si vogliono vedere i problemi reali

Le dinamiche dei fatti di Lavagna devono ancora essere definite, ma la vicenda ruota intorno alla presunta dipendenza dall’hashish di Giovanni e al suo suicidio, avvenuto durante una perquisizione domiciliare da parte della Guardia di Finanza; perquisizione richiesta da sua mamma.

Il 15 febbraio si sono tenuti i funerali del giovane nella Basilica di Santo Stefano e, mentre si fa chiarezza sulla questione, viene spontaneo riflettere sulle parole scelte dalla madre proprio in queste circostanze.

“Diventate protagonisti della vostra vita e cercate lo straordinario. Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. […] Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita. Straordinario è avere il coraggio di dire ciò che sapete. Per mio figlio è troppo tardi, ma potrebbe non esserlo per molti di voi, fatelo”:  queste sono alcune delle frasi pronunciate dalla donna di fronte ai tantissimi giovani che hanno partecipato alla cerimonia e dirette proprio a loro. Ha ringraziato poi la Guardia di Finanza che “ha saputo ascoltare l’urlo di disperazione di una madre”.

Quello che mi aspettavo era dolore e un addio al figlio; quello che ho ascoltato è un discorso chiaro e lucido che suona come una lezione studiata appositamente per i coetanei di Giovanni.

Una parte di me è sinceramente dispiaciuta e incredula per quello che è successo, un’altra è solo arrabbiata. È incredibile come tutti cerchino sempre di vedere solo quello che vogliono per poi alla fine trovarsi in situazioni orrende.

Diciamo le cose come stanno: altrettanto straordinario è trovare un genitore disposto a capire, o anche solo ascoltare, quello che pensi e hai da dire. Quando esiste, un buon rapporto fra genitori e figli è difficile da mantenere, va coltivato e richiede uno sforzo da entrambe le parti. Un giovane non si aprirà mai di fronte a una figura che non ha intenzione di entrare in contatto con il suo mondo, non avrà mai la voglia e la forza di chiedere aiuto proprio a te, genitore, che spesso riesci a vedere solo i suoi errori.

Perché la verità è che quando ci viene data la possibilità di farlo parliamo anche troppo. Una cosa davvero straordinaria è trovare un genitore che arrivato a casa la sera, nonostante la stanchezza e la voglia di lasciarsi alle spalle un’altra infinita giornata di lavoro, abbia voglia di ascoltare i problemi che un ragazzino può avere. Cosa vuoi che passi per la testa di un quindicenne nel 2017? Ha tutto, perché dovrebbe avere qualche problema? Sono sicura che non sia così in tutte le case, eppure sappiamo che è quello che si verifica più spesso.

Per quanto sia triste, questa storia per me sa solo di fallimento. In situazioni del genere tutti hanno una parte di responsabilità, e quello che è andato storto in questa storia non va cercato nella figura della madre di Giovanni o in quella dello Stato. La verità è che la nostra generazione è cresciuta lontana da quella dei nostri genitori, e non si è mai trovato un modo, o anche solo la voglia, per costruire un ponte fra le due.

L’unico momento in cui ci si rende conto di questa distanza è quando qualcuno non sopporta più la situazione e sceglie la via più tragica. Vedi Giovanni, o quella diciassettenne che a Milano si è lanciata dall’auto del padre in corsa finendo sotto le ruote di un tir, o tutte le altre mille storie per le quali nessuno perde tempo a fare servizi o scrivere articoli. Ma la colpa è dei giovani che non vogliono essere aiutati, quelli che scappano dalle responsabilità, quelli che non ascoltano nessuno. Quelli che non parlano perché non vogliono, non perché non sanno come fare. Alla fine, in un modo o nell’altro, si torna sempre a discutere di questo.

In questa storia nessuno dovrebbe parlare di colpe, ma proprio non capisco come una madre sia arrivata a pensare che per aiutare il figlio avrebbe dovuto chiamare la Guardia di Finanza. Io la vedo pure la volontà di sistemare le cose, ma alla fine mi sembra solo una punizione mascherata da soluzione.

L’unica cosa straordinaria, alla fine, è non avere il bisogno di trovare una via d’uscita. È straordinaria la vita in generale, o lo è il momento in cui trovi il tuo posto nel mondo. Il problema è che a sedici anni non riesci neanche a immaginare cosa questo voglia dire; stai per abbandonare quella bolla che ti ha tenuto al sicuro fino a quel momento, stai per iniziare a camminare nel mondo reale e hai appena imparato ad allacciarti le scarpe. Non si dovrebbe mai arrivare al punto di cercare una via d’uscita o di decidere di scappare. Forse un giorno lo capiremo per tempo, senza poi ritrovarci a piangere in una chiesa o sentirci in dovere di impartire lezioni a chi, forse, ne sa più di noi.